La vecchia Europa, quanto diversa da quella attuale?
Aveva solamente ventidue anni Ödön von Horváth quando scrisse Hotel Belvedere, nel 1923.
Ossessionato dall’incapacità che l’aristocrazia e la borghesia intellettuale mitteleuropea mostravano nei confronti delle utopie positive, Horváth fu il primo a riconoscere che dietro la facciata della grandezza si nascondeva in realtà un mondo volgare, malato, legato esclusivamente al potere del denaro.
Con la regia di Paolo Magelli e le eccellenti interpretazioni di Francesco Borchi, Daniel Dwerryhouse, Marcello Bartoli, Fabio Mascagni, Mauro Malinverno, Valentina Banci ed Elisa Cecilia Langone, lo spettacolo, in scena al Teatro Vascello dal 17 al 22 marzo, rappresenta un’Europa che sembra non allontanarsi poi molto da quella attuale.
Nel deserto e decadente Hotel Belvedere si intrecciano le vite di sette personaggi che portano allo scontro le classi sociali di una Europa profondamente impegnata a salvare se stessa distruggendo i più deboli.
Oltre a narrare le vicende della Seconda Guerra Mondiale, dunque, lo spettacolo mette difronte all’ineluttabile verità di una società attuale profondamente incrinata, attraversata dai medesimi conflitti che hanno caratterizzato il secolo a questo precedente.
Al desolato Hotel, nel quale la baronessa Ada von Stetten alloggia insieme ai suoi tre amanti, giungono il fratello della donna, Emanuel, al verde dopo aver perso tutto al gioco, e la giovane Christine, rimasta incinta di Strassen, uno degli amanti, nel corso dell’estate precedente.
E proprio Christine diviene il perno attorno al quale l’intera vicenda si snoda e si avvolge. I cinque uomini inventano una vile calunnia al fine di cacciarla dall’Hotel; sorpresi poi dalla notizia di una sua cospicua eredità, finiscono per litigarsela a scapito della baronessa, la quale decade da principale oggetto del loro desiderio ad un pezzo di carne ormai scaduto.
Il tutto è inserito in un ambiente che rappresenta perfettamente l’atmosfera dismessa di un albergo ormai in rovina: ampi spazi vuoti, arredati con qualche tavolini in marmo, poche poltrone e divani, sedie dallo schienale sagomato a violino; i personaggi si trovano ad interagire tra loro in un crescendo di azioni che passano dai rigurgiti, alle violenze fisiche, ad un continuo stappare e bere champagne, al divorare un’intera carta geografica dell’Europa prebellica.
Attraverso la caratterizzazione di una nobiltà decaduta, a più di novant’anni di distanza dalla scrittura del testo, con tensioni che non sono della stessa natura di quelle nate nel corso del secondo conflitto mondiale, lo scrittore austriaco traccia un profilo umano nel quale rimane comunque impossibile non riconoscersi almeno in parte.
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